DA THOREAU A THOREAU: VIAGGIO NELLA MENTE SELVAGGIA

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Vai con fiducia nella direzione dei tuoi sogni. Vivi la vita che hai immaginato.
Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e metter poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici; se si fosse rivelata meschina, volevo trarne tutta la genuina meschinità, e mostrarne al mondo la bassezza; se invece fosse apparsa sublime, volevo conoscerla con l’esperienza, e poterne dare un vero ragguaglio nella mia prossima digressione. Ché mi pare che molti uomini abbiano una strana incertezza sul suo valore, se sia di Dio o del demonio; e che abbiano concluso un po’ troppo rapidamente che il fine principale dell’uomo sulla terra è «glorificare Iddio e goderlo in eterno». Dovremmo tornare a casa da lontano, da avventure e pericoli e scoperte, ogni giorno con esperienze e caratteri nuovi
Ciò che i vecchi vi dicono che voi non potete fare, fatelo: così scoprirete che invece ne siete capaci. Azioni vecchie per i vecchi e azioni nuove per gente nuova.
In breve io sono convinto, sia per fede che per esperienza, che mantenersi su questa terra non sia una cosa ardua ma un passatempo, se si vive con saggezza e semplicità. […] Ma vorrei che ciascuno fosse così accorto da trovare e seguire la propria strada, non quella di suo padre, sua madre, o un suo vicino
Questo è Thoreau, che i suoi compaesani consideravano un perdigiorno, e “del tutto insopportabile, perché era del tutto indipendente, e non chiedeva di essere ascoltato, imitato o amato” (Piero Sanavio, curatore del Walden)

HENRY DAVID THOREAU,
visionario poeta dei luoghi selvaggi e uno dei padri del pensiero indipendente, nasce a Concord, Massachussets, il 12 luglio 1817.
Figlio di un piccolo artigiano che ha fatto fallimento, la sua vita non è tutta rose e fiori. Peraltro, frequenta il college ad Harvard fino alla laurea, e la biblioteca del college anche in seguito.
Alcuni anni più tardi entrerà a far parte del Movimento Trascendentalista, filosofia ispirata dal libro Nature di R. W. Emerson, in cui l’ideologia astratta si contrappone al materialismo/mercantilismo dell’epoca. La natura è considerata pervasa da un Dio immanente, in corrispondenza con il nostro spirito. Il “tutto” può essere afferrato dalla contemplazione e dall’intuizione. L’uomo è ritenuto divino, l’individualismo esaltato.
In Thoreau, che aveva conosciuto gli stenti, tutto ciò si traduce in regole di sopravvivenza, e ispirazione letteraria.
Nel 1845 va ad abitare in una capanna di legno sulle rive del lago Walden, ad alcune miglia da Concord, e vi rimane fino al 1847. Scrive Walden “per dimostrare quanto poco ci voglia per vivere”.
Pacifista, antischiavista e libertario per eccellenza, le sue idee politiche sono espresse con maestria nell’opuscolo Disobbedienza civile.
Muore di tisi il 6 maggio 1862, in seguito a un’infreddatura contratta il 3 dicembre di due anni prima durante un’intera giornata trascorsa a contare gli
anelli di un noce d’America e di una quercia bianca. Le sue ultime parole sono: “Moose. Indian. (Alce. Indiano.)”.

LA CAPANNA SULLA RIVA DEL LAGO WALDEN (WALDEN POND) (1845-1847)
E così, nel 1945 Thoreau decide di andare a vivere nei boschi.
Verso la fine del marzo 1845 mi feci prestare una scure e andai nei boschi presso il
lago di Walden, il più vicino possibile a dove avevo intenzione di costruirmi la casa, e cominciai ad abbattere pini bianchi, alti e appuntiti e ancora giovani, per farne legname da costruzione.
Ma anche mentre lavora alla capanna, la mente selvaggia in lui è ben viva …
Alla fine noi non sappiamo più cosa significhi vivere all’aperto, e sotto vari aspetti la nostra vita è più domestica di quanto non crediamo. Dal focolare al campo c’è una grande distanza. Forse sarebbe bene che passassimo la maggior parte dei nostri giorni e delle nostre notti senza alcun diaframma tra noi e i corpi celesti, e che il poeta non parlasse e il santo non abitasse tanto a lungo sotto un tetto. Gli uccelli non cantano nelle caverne, né le colombe nutrono la loro innocenza nelle colombaie.
Comunque, se qualcuno si prefigge di costruirsi una casa per abitarvi, gli conviene servirsi un po’ dell’astuzia degli Yankee, se non vuol trovarsi poi, anziché in una casa, in uno stabilimento o in un labirinto senza uscita, o in un museo, o in un ospizio, o in una prigione, o in uno splendido mausoleo. Si pensi
anzitutto che solo un leggero riparo è assolutamente necessario. Ho visto in questa città gli indiani Penobscot vivere sotto tende di cotone sottile, mentre intorno la neve era alta quasi un piede, e credo che sarebbero stati contenti che fosse stata ancora più alta, per essere così riparati dal vento.
[…] Ma, ahimè!, gli uomini ora sono diventati strumenti dei loro strumenti. L’uomo che quand’era affamato coglieva i frutti liberamente, è diventato contadino; e colui che, per riposare, si stendeva sotto un albero, è diventato il guardiano della propria casa. Ora non ci accampiamo più per la notte, ma invece ci siamo piantati sulla terra e abbiamo dimenticato il cielo. Abbiamo adottato il cristianesimo semplicemente come un miglior metodo di agricoltura. Abbiamo fabbricato per questo mondo una magione di famiglia, e per l’altro una tomba di famiglia.
E questo è esattamente il sentire della mente selvaggia, sotto qualsiasi latitudine:
Una casa, una vera casa di pietra o di mattoni, è come una tomba. Si può anche vivere qualche volta sotto una tenda, ma la cosa migliore per noi è dormire sotto il cielo e guardare le stelle negli occhi
– Detto tuareg
Nel libretto Papalagi (v. Bibliografia), il capo samoa Tuiavii di Tiavea, descrive dettagliatamente al suo popolo le case-“cassoni” degli uomini bianchi, che ha frequentato nel suo viaggio in Europa.
Ma se comunque si stabilisce che un tetto sulla testa tutto sommato può anche tornare utile, il primo atto di indipendenza consiste nel costruirselo da sé:
Costruendosi la casa, l’uomo rivela la stessa attitudine dell’uccello nel costruirsi il nido. Chissà, se gli uomini si costruissero le loro case con le loro mani e provvedessero il cibo per sé e per le loro famiglie con sufficiente onestà e semplicità, se le loro tendenze poetiche non sarebbero universalmente sviluppate come negli uccelli, che cantano anche quando si stanno costruendo il nido? Purtroppo, noi facciamo come gli storni e i cuculi, che depongono le loro uova nei nidi costruiti da altri uccelli e non rallegrano nessun viaggiatore con le
loro note chiacchierine e discordi. Dovremo concedere sempre al falegname il piacere di costruire le nostre abitazioni? […] Dove porta questa divisione del lavoro? E a che seve, alla fine? Certo, un altro può anche pensare per me, ma non è desiderabile che lo faccia precludendomi la possibilità di pensare per me stesso.
La mia abitazione era piccola, tanto che a malapena avrei potuto ricavarvi un’eco; ma sembrava più grande perché era un unico locale, e lontana da ogni vicino. Tutte le attrattive di una casa erano concentrate in una sola stanza; essa era cucina, camera, salotto e dispensa; e qualsiasi soddisfazione che , genitore o figlio, padrone o servo, derivi dal vivere in una casa, io le godevo tutte. Catone dice che il capofamiglia (pater familias) deve avere nella sua villa rustica «cellam oleariam, vinariam, dolia multa, uti lubeat caritatem expectare, et rei et virtuti et gloriae erit», vale a dire «una cantina per l’olio e per il vino, molti tini, così che sia piacevole attendere i tempi difficili; sarà per il suo vantaggio, la sua virtù e la sua gloria». Nella mia cantina avevo otto galloni di patate, circa due quarti di gallone di piselli bacati, e nello scaffale avevo un po’ di riso, una giara di melassa, due galloni di segala e altrettanti di farina di granturco.
Ma anche a lavori ultimati, il richiamo dell’essenziale e della vita all’aria aperta non dà tregua:
Avevo sulla tavola tre pezzi di calcare, ma fui atterrito quando scoprii che dovevo spolverarli ogni giorno, mentre il mobile della mia mente era coperto di polvere, e così li gettai dalla finestra pieno di disgusto. Come avrei potuto, dunque, avere una casa ammobiliata? Preferirei sedermi all’aria aperta, perché sull’erba non si posa polvere, tranne dove l’uomo ha arato.
Alla donna che gli offre una stuoia, Thoreau risponde che preferisce pulirsi i piedi sulla zolla d’erba davanti alla porta: “È meglio evitare gli inizi del male”. Lui le pulizie le fa così:
[…] Era piacevole vedere tutte le mie masserizie sull’erba, in un mucchio, quasi appartenessero a uno zingaro, e la mia tavola a tre gambe, dalla quale non avevo neppure tolto i libri,né la penna o il calamaio, ritta in mezzo ai pini e ai noci. Parevano felici d’essere anch’esse fuori casa e con nessun desiderio di farci ritorno. Talvolta ho tentato di stendermi sopra una tenda e restare là, seduto tra di esse.
Valeva la pena di vedere il sole scintillare su tutte queste cose, e sentire il vento che soffiava liberamente; tanto più interessanti che non in casa sembravano gli oggetti più famigliari, posti all’aperto. Un uccello si è posato sul ramo vicino, la sempreviva cresce sotto il tavolo, e i cespugli di more s’arrampicano intorno alle sue gambe; pigne, ricci di castagne e foglie di fragola sono sparsi all’intorno. Pareva che questa fosse la maniera in cui queste forme si erano trasferite al nostro mobilio, alle tavole, alle seggiole e alle lettiere: perché queste un tempo erano state in mezzo a loro.
Altre riflessioni sulla casa e dettagli tecnici sulla costruzione della capanna alle pagine 99, 326, 313 (camino), 317(intonaco), 104(cantina), oltre al capitolo “Il riscaldamento della casa”. A pag. 98, poi, narra degli “underground” che si costruivano nel 1650 i primi abitanti della Nuova Olanda e New England inattesa di potersi permettere una vera e propria capanna.

VITA A WALDEN/FILOSOFIA
A Walden, Thoreau vive profondamente la natura. Percorre il lago in barca, o a piedi quando ghiaccia. Pesca, fa legna (che lo scalda due volte, quando la raccoglie e la spacca, e quando la brucia). Riceve visitatori alla capanna, e passeggia fino al villaggio dove ascolta le notizie, che considera nient’altro che pettegolezzi. Riflette, e scrive. Il lago riflette Thoreau, e Thoreau riflette sulla vita.
Essere svegli significa essere vivi. Io non ho ancora incontrato un uomo che fosse completamente sveglio. Come avrei potuto guardarlo in viso?
Dobbiamo imparare a risvegliarci e a mantenerci desti, non con aiuti meccanici ma con un’infinita speranza nell’alba, che non ci abbandona neppure nel sonno più profondo. Non conosco nulla di più incoraggiante dell’incontestabile capacità dell’uomo di elevare la sua vita con uno sforzo cosciente.
Per quanto intensa sia la mia esperienza, sono conscio della presenza, e della critica, di un’altra parte di me stesso che, per così dire, non è parte di me ma spettatrice che non partecipa di nessuna esperienza, però ne prende nota; essa non è me come non è te. Quando il dramma, forse la tragedia della vita è compiuto, la spettatrice continua per la sua strada. Per quanto la riguardava, tutto fu una specie di fantasia, un’opera dell’immaginazione.

IL CAMPO DI FAGIOLI
A Walden, Thoreau si dedica anche alla coltivazione di un campo di fagioli, “in filari che raggiungevano, messi in fila, la lunghezza di sette miglia”. Più che per cibarsene, se ne serve
come merce di scambio nelle sue passeggiate al villaggio, e l’attività stessa del coltivare è opportunità di osservazione della natura e fonte di riflessioni.
Lo stesso sole che matura i miei fagioli illumina contemporaneamente un sistema di mondi simili al nostro.
[…] Miei nemici sono i vermi, i giorni freddi, e soprattutto le marmotte. Queste mi hanno rosicchiato via un quarto di acro. Ma che diritto avevo di soppiantare l’iperico e il resto, e di rompere il loro antico giardino di erbe aromatiche?
[…] Rimuovere le erbacce; mettere terra fresca intorno ai gambi dei fagioli, e incoraggiare quest’erba che avevo piantato; far sì che il terreno giallo esprimesse il suo pensiero estivo in foglie e fiori di fagiolo, piuttosto che in erba verminaria, erba cornamusa, e miglio; fare che la terra dicesse “fagioli” invece che “erba”, ecco il mio lavoro quotidiano. […] Il mio [campo] era, per così dire, l’anello di congiunzione tra i campi selvaggi e i campi coltivati.
[…] I frutti non cedono il loro vero sapore a chi li compra, né a chi li coltiva per il mercato. […] Non ho alcun rispetto, né per le fatiche, né per il podere (dove tutto ha il suo prezzo) di colui che porterebbe al mercato persino il paesaggio e il suo Dio, potesse ricavarne qualche cosa; che va al mercato per il suo dio, il guadagno, e sul cui podere non c’è nulla che cresca liberamente; i cui campi non danno messe, i cui prati non danno fiore, i cui alberi non producono frutta ma dollari; colui che non ama la bellezza dei suoi frutti i quali, per lui, sono maturi soltanto quando trasformati in denaro. Datemi la povertà che gode la vera ricchezza.
– Henry D. Thoreau
A chi gli chiede se pensa di poter vivere di soli vegetali, Thoreau risponde “potrei vivere anche di chiodi da tavola”.
Sebbene vada a pesca sul lago, non ha dubbio che “appartenga al destino della razza umana, nel suo graduale miglioramento, smettere di mangiare animali, allo stesso modo che le tribù selvagge hanno smesso di mangiarsi l’un l’altra quando vennero in contatto con le più civili”. Allo stesso modo, ritiene indispensabile alla formazione di un uomo imparare a cacciare fin da piccolo, ma che crescendo verrà naturale smettere di uccidere animali.
D’altra parte, citando i Veda, “Colui che ha fede nell’Onnipotente Essere Supremo può mangiare tutto ciò che esiste”. “Per mia parte, io non fui mai troppo schizzinoso. Talvolta potevo mangiare di gusto anche un sorcio fritto, se era necessario”. (v. Walden, pag. 286-289. In Dersu Uzala, libro e film, è narrata la storia di un Master Cacciatore nella wilderness siberiana, mentre Orti Insorti e Alla città nemica sono due significativi e piacevoli racconti di “consapevolezza non tradizionale” sulla vita in campagna).

LA SCUOLA
In varie fasi della sua vita, Thoreau è stato anche insegnante. Dal 1838 al 1840 gestisce una scuola privata con il fratello.
[Gli studenti] non dovrebbero giocare alla vita o solamente studiarla, mentre la comunità li mantiene per questo passatempo dispendioso, ma viverla sinceramente dal principio alla fine. I giovani, come meglio potrebbero imparare a vivere se non cominciando subito a sperimentare la vita? Credo che ciò eserciterebbe la loro mente quanto la matematica. […] Chi avrebbe compiuto il maggior progresso, alla fine del mese: il ragazzo che s’è fatto il coltello a serramanico con il minerale che lui stesso ha scavato e fuso, leggendo ciò che gli era necessario a tale scopo, o quell’altro ragazzo che in quel tempo ha seguito le lezioni di metallurgia all’istituto, e che ha ricevuto da suo padre un temperino modello Rogers? Quando uscii dal college seppi con meraviglia che avevo studiato navigazione! Mentre, se solo avessi fatto un giro al porto, avrei imparato di più.
[…]Spendiamo di più per qualsiasi articolo di alimentazione o sofferenza corporale, che per la nostra alimentazione mentale. È tempo che abbiamo scuole non normali, e che non abbandoniamo la nostra educazione quando cominciamo a essere uomini, o donne. È tempo che i villaggi siano università, e che i loro abitanti anziani vengano mantenuti da queste università – se davvero sono tanto ricche – con il comodo di perseguire gli studi liberali per il resto della loro vita.

AUTOSUFFICIENZA E ISTANTE PRESENTE
Per Thoreau l’autosufficienza non ha a niente che fare con l’organizzarsi per vivere confortevolmente in momenti di scarsità, ma si tratta piuttosto di sviluppare la capacità non di soltanto sopravvivere, ma di trovarsi a proprio agio in qualsiasi circostanza utilizzando essenzialmente risorse locali, e godere del minimo, vivendo costantemente l’istante presente. In pratica, se si è in sintonia con la natura e si possiedono le tecniche di base per utilizzarne con equilibrio le risorse, la natura ci sostiene.
In ogni stagione, e a qualunque ora del giorno e della notte, è sempre stata mia cura migliorare quanto più potessi l’attimo in cui mi trovavo a vivere, e fermarlo per vivere nel punto d’incontro tra due eternità, il passato e il futuro, vale a dire nel presente, e attenermi fedelmente ad esso.
Non lessi libri, la prima estate: zappai fagioli. Non solo; spesso facevo di meglio. A volte non potevo permettermi di sacrificare a nessun lavoro, sia mentale che materiale, il fiore del momento presente. Amo che ci sia un ampio margine di respiro nella mia vita.
Essere filosofi non significa soltanto avere pensieri acuti, o fondare una scuola, ma amare la sagezza tanto da vivere secondo i suoi dettami: cioè condurre una vita semplice, indipendente, magnanima e fiduciosa. Significa risolvere i problemi della vita non solo teoricamente ma praticamente.
Walden, pag. 275-276 [… Tentai di aiutarlo con la mia esperienza…](rivolgendosi a John Field, immigrato irlandese sfiancato dal lavoro indispensabile a mantenere una catapecchia, la moglie e i figli)
Imparai che, se ognuno vivesse in semplicità e consumasse solo il proprio raccolto senza coltivarne più di quanto non ne mangi, o senza cambiarlo con un’insufficiente quantità di cose più costose o di lusso, basterebbe coltivasse solo poche pertiche di terra. […]Ero più indipendente di qualsiasi contadino di Concord, perché non ero ancorato a una casa o a un campo, ma ogni istante potevo scegliere l’inclinazione del mio genio, che è piuttosto mutevole. E, oltre a essere in migliori condizioni economiche di loro, anche se la casa si fosse bruciata e il raccolto fosse stato cattivo, sarei stato quasi altrettanto ricco di prima.
Grande povertà è quando l’uomo ha bisogno di tante cose, perché così egli dimosta di essere povero delle cose dl grande Spirito
– Tuiavii di Tiavea, capo samoa (Papalagi)
[… ] Perché mai gli uomini vogliono preoccuparsi tanto? Chi non mangia, non ha bisogno di lavorare. […] E, oh, il governo della casa! Tenere pulite e scintillanti le maniglie della porta del demonio, e pulire le sue bagnarole in questo giorno
pieno di sole! È meglio non avere casa. Dico – un buco in un albero; e così, addio visite mattutine e inviti a pranzo! Ci sarà solo il battere del picchio.
Gli uomini lavorano per errore.
L’uomo non ha tempo di essere altro che una macchina.
pag. 277-278 [… ma mente scendevo di corsa…]

WILDERNESS, o i luoghi selvaggi
Il luogo dove vivevo era altrettanto remoto delle regioni che gli astronomi osservano la notte. Noi usiamo immaginare che esistano luoghi rari e deliziosi in qualche remoto e più divino angolo del sistema solare, dietro la costellazione di Cassiopea, lontano dai rumori e dalle preoccupazioni. Mi resi conto che la mia casa era situata in un luogo che non solo era realmente appartato, ma che era anche una parte dell’Universo sempre nuova e mai profanata. Se valeva la pena di stabilirsi in quelle pari vicine alle Pleiadi o alle Iadi, ad Aldebaran o ad Altair, allora io già mi ci trovavo; o se non proprio là, perlomeno mi trovavo a pari distanza dalla vita che mi ero lasciata alle spalle, in un luogo che, agli occhi del mio prossimo vicino era remoto e scintillante con un raggio altrettanto sottile delle stelle, e visibile anch’esso solo le notti senza luna. Tale era la parte dell’Universo dove mi ero stabilito.
Non ci può essere alcuna malinconia per chi vive in mezzo alla natura e ai suoi sensi sereni. Non ci fu mai tempesta, per quanto violenta, che non fosse musica a un orecchio sano e innocente.
Il Padre è gioia totale, e non conosce altro modo di essere. Dio è tutte le forme di vita che vibrano in armonia ed emettono un suono simile ad una sonora risata
– Ramtha, Dio in Te

La vita nella wilderness sembrerebbe restringere i nostri orizzonti, ma in realtà li amplia, aprendoci a dimensioni più sottili. Solo nel selvaggio si può percepire quella che il don Juan di Castaneda chiama “quell’immensità là fuori”, Ramtha “l’infinito Sconosciuto”.

La nostra vita di villaggio ristagnerebbe se non fosse per le sue foreste inesplorate e per i prati circostanti. Noi abbiamo bisogno del tonico di ciò che è selvaggio. […] Nello stesso tempo che sinceramente desideriamo esplorare e imparare ogni cosa, noi chiediamo che queste siano misteriose e inesplorabili, che terra e mare siano infinitamente selvaggi, non sorvegliati né sondati da noi, perché impenetrabili. Non possiamo mai avere abbastanza dalla Natura. Dobbiamo essere rinfrescati alla vista di un vigore inesauribile, e di fattezze vaste e titaniche: la costa del mare con i suoi naufragi, i boschi selvaggi con i loro alberi vivi e marcescenti, la nube carica di tuono, la pioggia che dura tre settimane e provoca straripamenti Abbiamo bisogno di vedere che i nostri limiti vengono trasgrediti e che c’è vita che pascola liberamente dove mai noi vaghiamo.
Le scene più barbare erano diventate stranamente familiari. In me stesso trovavo, e trovo, un istinto verso una vita più alta, o,come si dice, spirituale (come succede a molti uomini), e per un altro verso una vita selvaggia, primitiva ed esuberante: io le accettavo reverentemente ambedue. Amo ciò che è selvaggio non meno di ciò che è buono.

“Il selvaggio” è la Wilderness.
“Natura selvaggia (wild) è una cosa che si prende cura di sé stessa”: la definizione è di GARY SNYDER, che la dettaglia nel corso del capitolo “L’etichetta della libertà” in Ri-abitare nel grande flusso, pag. 38-50 (Il galateo della libertà ne Nel mondo selvaggio, pag. 25-34) (v. Bibliografia). Gary Snyder, che ha ispirato a Jack Kerouac il personaggio di Japhy Rider, protagonista de I Vagabondi del Dharma, è uno dei nomi principali dei movimenti dell’Ecologia Profonda e del Bioregionalismo. Professore di Letteratura all’Università della California di Davis, vive con la famiglia nella wilderness della Sierra Nevada californiana, dove scrive poesie e saggi di grande profondità e interesse.
Nella wilderness sta la preservazione del mondo.
– H.D. Thoreau

“Datemi una wilderness in cui nessuna civiltà possa resistere”, dice Thoreau. Questo non è chiaramente difficile da trovare. Più arduo immaginare una civiltà che la wilderness possa tollerare, eppure è precisamente quello che dobbiamo cercare di fare. La wilderness non è esattamente la “preservazione del mondo”, la wilderness è il mondo.
– Gary Snyder

Il mondo viene creato dai vostri sogni. Avete sognato fabbriche gigantesche,palazzi altissimi, tante automobili quante sono le gocce d’acqua di questo fiume. Ora cominciate a riconoscere che il vostro sogno è in realtà un incubo. Perché la vita possa continuare, dovete insegnare ai nostri figli a sognare un sogno nuovo
– Numi, sciamano dell’Ecuador (dal film Pachacuti –Il sogno di un mondo nuovo) di Arno Teutsch e Wolfgang Penn.

Nel mondo dello Sciamano, wilderness e inconscio diventano analoghi: colei che conosce l’uno e si trova a suo agio in esso, si troverà a casa nell’altro
– Gary Snyder

Il tema dell’incontro tra wilderness interiore e wilderness esteriore viene trattato in maniera affascinante tra gli altri dalla scrittice Clarissa Pinkola Estès in Donne che corrono con i lupi (v. Bibliografia).
Amo il Dio dei pagani, sapete? Il Dio dei pagani è la forza vitale che scaturisce dalla grande quercia, è nel sacro gufo, è nel sacro lupo, è nella ghianda, è un torrente argenteo, ed è l’odore della sponda di un fiume sotto un salice; è l’illusione ottica che corre attraverso un bosco screziato; in altre parole, il potere della natura è una manifestazione inferiore del sublime, che è la mente + grande. Un pagano venerava tutta la natura  la ragione x cui hanno creato le maschere x rappresentare il ceppo, il salice, la quercia, il gufo, il lupo, l’illusione ottica, l’autunno, le foglie cangianti, il torrente argentato, la ragione x
cui si davano tanto da fare x creare una maschera e danzare, era che volevano focalizzarsi su quello di cui desideravano possedere la conoscenza
– Ramtha, La verità è sognare la coscienza della natura (CD 0209)

Il mondo ci osserva: non possiamo attraversare un prato o un bosco senza che un’onda di messaggi si diffonda intorno al nostro passaggio. Il tordo vola via, la ghiandaia grida, un coleottero se la svigna nell’erba e il segnale si propaga. Quando passa un falco o un essere umano, tutte le creature lo sanno: l’informazione che percorre il sistema è intelligenza.
– Gary Snyder

Mio Dio, anche le rocce sono dotate di intelligenza!
– Ramtha

Il mondo è la nostra coscienza, e ci circonda
– Gary Snyder

Se la desertificazione avviene all’interno di noi, le foreste non possono sopravvivere all’esterno. Spirito e habitat – finalmente lo comprendiamo – sono correlati.
– Robert Pogue Harrison (professore di Italiano alla Stanford università), Foreste

Le radici di tutte le cose sono legate tra loro: taglia un albero senza pregare e cadrà una stella in cielo
– Detto pellirossa

Gli esseri umani sono l’equivalente funzionale delle glicoproteine sulla superficie della membrana della cellula gigante che è la Terra. Noi siamo i recettori e gli effettori capaci di rispondere al segnale dell’Universo e influenzare un cambiamento per il pianeta
– Bruce Lipton

Le lezioni che impariamo dal mondo selvaggio diventano il galateo della libertà.
– Gary Snyder

Vediamo dunque dove ci porta Thoreau con le lezioni imparate nella wilderness.
Le cose necessarie per vivere, a una persona che si trovi in questo clima, possono essere distribuite abbastanza accuratamente sotto i seguenti titoli: Cibo, Tetto, Vestiario, Fuoco. Infatti, fintantoché non ci saremo provveduti di ciò, non saremo pronti ad affrontare i veri problemi della vita con libertà e speranza di successo. Quando si sono ottenute queste cose che sono necessarie alla vita, c’è un’altra soluzione, oltre a cercare di ottenere il superfluo: cioè buttarsi a esperimentare la vita, dal momento che ormai si è liberi dalle fatiche più umili.
– Henry D. Thoreau

Il movimento primitivista americano, che tra gli altri si ispira a Thoreau, fa del RITORNO ALL’ESSENZIALE (Back to Basis) uno dei suoi cavalli di battaglia. L’ “essenziale” consiste in:
– Rifugio (considerare materiali e forme tradizionali) – Cibo- (i cibi moderni sono privi di vita) – Acqua (rubata al suo ruolo essenziale nell’ecosistema, privata della sua purezza ecc.) – Contenitori – Fuoco – Vestiario – Attrezzi – Gioco (predominante nel mondo animale. Invito a celebrazioni che onorano il selvaggio in noi stessi e nel mondo che ci circonda).
Il Primitivismo, che si esprime nell’ambito di organizzazioni di militanza ambientalista e sociale quali Green Anarchy, Earth First, l’italiano Terra Selvaggia, ecc., promuove un ritorno totale e senza mezzi termini al “feral living” (vivere ferino, o vivere rinselvatichito). La wilderness è vista come “sconosciuto”. Nei ritiri di “rewilding” (rinselvatichimento) nella wilderness della durata di un anno, per sopravvivere i partecipanti devono imparare a cavarsela con il semplice aiuto delle risorse locali. Alla ricerca introspettiva sul selvaggio in sé (con temi quali “Affrontare il falso sé – Sulla pratica del rinselvatichimento emozionale e spirituale – Diventare rinselvatichiti vuol dire letteralmente sfuggire all’addomesticamento”) si contrappone il rifiuto totale e senza mezzi termini di tutta la civiltà tecnologico-industriale, di cui si auspica la distruzione. L’attivismo qui si rivolge principalmente alla liberazione di animali dagli allevamenti o dai laboratori di vivisezione( ad opera dell’ALF, Animal Liberation Front, e organizzazioni analoghe) che può a volte comportare sabotaggi agli stabilimenti, ma in alcuni casi si esplica in azioni violente a danno di impianti industriali o persone (come nel caso di Ted Kaczynski, meglio noto come Unabomber, ex professore universitario a Berkeley).
La spinta al vivere naturale è stata comunque sempre strumentalizzato dalla politica di ogni parte trasformata in ambientalismo militante (basti pensare al survival dei Campi Hobbit degli anni ’70, ideati da organizzazioni di estrema destra).
E con questo il cerchio si chiude, riportandoci a Thoreau, il pensatore libertario in cui l’autosufficienza è vista anche come ribellione al consumismo albeggiante dei suoi tempi, alla riduzione a macchina dell’uomo nell’era paleo-industriale, e al potere di un governo schiavista e bellicoso.
Nel libretto Disobbedienza Civile (V. Bibliografia), pubblicato nel 1849, Thoreau fa sua l’affermazione “Il migliore dei governi è quello che governa meno”, concludendo “anzi, quello che non governa affatto”.
“Non può esistere un governo in cui non sia la maggioranza a stabilire, virtualmente, cosa è giusto e cosa non lo è, bensì la coscienza?” dice ancora, e “A mio avviso dovremmo essere prima di tutto uomini, e poi cittadini”.
(“I miei pensieri per lo stato sono assassinio”, scrive altrove).
Nel breve ma stimolante testo, in cui spiega il suo rifiuto a pagare le tasse ad un governo che sostiene lo schiavismo (contro cui scrive In difesa del Capitano John Brown [v. Bibliografia]) e ha invaso militarmente il Messico, Thoreau racconta in modo delizioso la notte trascorsa in carcere a causa di tale rifiuto.
Dunque, in perfetta coerenza con la sua (seppur temporanea) scelta di “rinselvatichimento” a Walden, quella di Thoreau è una contestazione gentile e ironica ma totale della “società civile”, di cui per tutto il Walden egli non esita a farsi beffe:
Vesti il tuo spaventapasseri con il tuo ultimo completo, e mettiti nudo accanto a lui: chi non saluterebbe lo spaventapasseri per primo?

Voi, i grandi dei creatori che una volta eravate il vento della libertà, siete diventati animali da branco, esseri che si rinchiudono in grandi città e vivono nella paura, dietro porte sbarrate. Invece di altissime montagne e di meravigliosi venti, possedete grandi edifici ed una consapevolezza miserabile. Avete creato una società che decreta come dovete pensare, cosa dovete credere, come dovete agire e che aspetto dovete avere.
– Ramtha, Dio in Te

Gli ultimi capitoli del Walden sono toccante poesia: il gelo e disgelo del lago, i visitatori, gli animali, la primavera, in un crescendo dell’intreccio visionario tra osservazione interiore ed esteriore che contraddistingue l’intero testo.
«Volgi il tuo occhio all’interno, e scoprirai
Migliaia di regioni, nel tuo cuore,
Vergini ancora. Viaggiale tutte, e fatti esperto
In cosmografia interiore»
… e se qualcuno ci dicesse con un’alzata di spalle che non vale nemmeno la pena di provarci, che tanto è impossibile influenzare un vero cambiamento ecologico a partire dalla mente…
“Non serve a niente provarci” disse Alice. “Non si può credere a cose impossibili”.
“Oserei dire che non ti sei esercitata molto “ disse la regina. “Quando avevo la tua età, lo facevo sempre per mezz’ora al giorno. Ebbene, a volte arrivavo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione!”.
– Lewis Carroll

CONTENUTI EXTRA
Come se si potesse ammazzare il tempo senza ferire l’eternità
– H. D. Thoreau, Walden
Siamo consapevoli dell’animale che è in noi, il quale si sveglia in proporzione all’assopimento della nostra più alta natura. Esso è strisciante e sensuale, e forse non può essere espulso interamente; come i vermi, che persino quando siamo vivi e in salute continuamente vivono nel nostro corpo. Forse possiamo ritirarci da esso ma mai mutarne la natura. Temo che l’animale dentro di noi goda di una certa salute sua propria, e che noi possiamo stare bene anche se non siamo puri.
– H. D. Thoreau, Walden
Benedetto colui che è certo che l’animale che sta nel suo cuore sta morendo giorno per giorno, e che l’essere divino è in lui affermato.
– H. D. Thoreau, Walden
Un simile occhio [delle giovani pernici] non nacque quando nacque l’uccello – ma è coevo del cielo che riflette. I boschi non producono un’altra simile gemma. Il viaggiatore non guarda tanto spesso in un pozzo tanto limpido-
– H. D. Thoreau, Walden
Spesso camminavo per otto o dieci miglia, nella neve più fonda, per mantenere l’appuntamento con un faggio o con una betulla gialla o con un pino di vecchia conoscenza
– H. D. Thoreau, Walden
Non è auspicabile che l’uomo coltivi il rispetto della legge nella stessa misura di quello per ciò che è giusto. Il solo obbligo che ho il diritto di arogsrmi è quello di far sempre e comunque ciò che ritengo giusto.
– H. D. Thoreau, Disobbedienza civile
In questo mondo, in nome dell’Ordine e del Governo Civile, siamo tutti costretti, aal fine, a sostenere la nostra stessa meschinità e a renderle omaggio.
– H. D. Thoreau, Disobbedienza civile
Una minoranza è priva di potere quando si conforma alla maggioranza; non è neppure una minoranza, in quel caso; ma è irresistibile quando è di intralcio con tutto il suo peso
– H. D. Thoreau, Disobbedienza civile
Per quanto mi riguarda, non mi piacerebbe pensare di dover mai far conto sulla protezione dello stato
– H. D. Thoreau, Disobbedienza civile
Non sono nato per essere costretto. Voglio respirare liberamente– H. D. Thoreau, Disobbedienza civile
Non mi interessa seguire il percorso del mio dollaro, ammesso che sia possibile, fino a che questo non compri un uomo o un moschetto con cui sparare a
qualcuno – il dollaro è innocente – ma mi preoccupo di seguire gli effetti della mia obbedienza.
– H. D. Thoreau, Disobbedienza civile
Non sono molti i momenti in cui vivo sotto un governo, persino in questo mondo. Se un uomo è libero nel pensiero, nelal fantasia, nell’immaginazione, in modo tale che ciò che non è non gli appare mai per molto tempo come ciò che è, non è detto che governanti o riformatori stolti riescano a ostacolarlo
– H. D. Thoreau, Disobbedienza civile
Non vi sarà mai uno Stato veramente libero e illuminato, fino a quando lo Stato non giungerà a riconoscere l’individuo come una forza più alta e indipendente, dalla quale derivano tutto il suo potere e la sua autorità, e lo tratterà di conseguenza
– H. D. Thoreau, Disobbedienza civile
Un giorno, dopo esservi passato accanto per vent’anni per andare al lavoro nel campo, all’improvviso ho notato una quercia nodosa, o forse è stata lei a mostrarsi a me. Ho percepito la sua vecchiaia, la sua essenza, l’intima natura, la sua “quercità”, come se fossero mie qualità. Una simile intimità ti fa sentire totalmente a casa nella vita e in te stesso. Gli anni passati a lavorare in quel prato attorno a quella quercia, senza accorgermi di lei, non sono comunque stati sprecati. Conoscere nomi e abitudini, tagliare alcuni arbusti qui, prendere legna per il fuoco là, osservare quando spuntano i funghi in autunno, sono pratiche deliziose ed essenziali in sé. Poi ti preparano all’improvviso incontro con la quercia
– Gary Snyder
Solo dopo che l’ultimo albero sarà stato abbattuto; solo dopo che l’ultimo fiume sarà stato avvelenato; solo dopo che l’ultimo pesce sarà stato catturato; soltanto allora scoprirai che il denaro non si mangia.
– Profezia degli indiani Cree

BIBLIOGRAFIA
HENRY D. THOREAU
Walden ovvero vita nei boschi, BUR eds.
Opere scelte di H. D. Thoreau, Venezia 1958
Vita di uno scrittore: i diari di H. D. Thoreau, Venezia 1963
Le foreste del Maine: Chesuncook, Milano 1999
La disobbedienza civile, ed. SE (contenente anche In difesa del Capitano John Brown)
GARY SNYDER
Nel mondo selvaggio, ed. Red
Ri-abitare nel grande flusso, Arianna Editrice
La grana delle cose, ed. Gruppo Abele
più altri testi in inglese
CLARISSA PINKOLA ESTÉS
Donne che corrono con i lupi, Frassinelli Ed.
ELENA GUERRINI
Orti Insorti, Ed. Stampa Alternativa
SONIA SAVIOLI
Alla città nemica – Diario di una donna di campagna, Ed. Malatempora
FRED HAGENEDER
Lo Spirito degli Alberi, ed. Crisalide
ROGER DEAKIN
Nel cuore della foresta – Un viaggio attraverso gli alberi, ed. EDT
ARSEN’EV VLADIMIR K.
Dersu Uzala, ed. Mursia, ed. Medusa
Film omonimo di Akira Kurosawa
TUIAVII DI TIAVEA
Papalagi, ed. Stampalternativa

Selezione a cura di Valeria Valli

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